venerdì 17 aprile 2015

Lettera al mio compagno di banco

Oi Sandro,
ho la sensazione di essere arrivato a un punto morto e non parlo solo della scrittura; non ho più voglia, più la spinta, più la necessità di scrivere ma questa cosa qui la vivo, finalmente, come una liberazione.
Come ben dici o come forse invento ma tanto so che potenzialmente lo potresti pensare, la scrittura è stata per me, per tutti questi anni, una trappola che oggi finalmente posso abbandonare senza rimpianti. La scrittura è stata l’unica forma di amore di cui sono stato capace e dunque, citando Pazienza, se “amore è tutto ciò che possiamo ancora tradire”, posso infine allontanarmene senza grandi sensi di colpa.

Come noterai scrivo queste righe con distacco, senza coinvolgimento, grazie alla mia esemplare elaborazione dell’abbandono.
O forse perché, devo ammetterlo, ho già canalizzato le mie energie in un settore molto più creativo e soddisfacente: il design.

“Dentro casa. Fuori dagli schemi”, dice uno slogan pubblicitario e da qui riparto per dirti del concetto di architettura e di casa. Perché Sandro, la casa è per sua natura schema, organizzazione geometrica di spazi e, quella sveglia che suona alla mattina, è solamente il preludio alla matematica di una giornata scandita da ruoli e tempi.
Per parlare di architettura e design dobbiamo necessariamente immaginare case vuote e, almeno in partenza, possibilmente bianche. Ma per averle tali bisognerebbe sterminare le famiglie, negazione di ritmi e di silenzi, occupatrici di altrimenti calme piatte. Quelle famiglie unite nello sporcare muri, schizzatrici di sugo sulle mattonelle.
Vedi Sa’, per fare del buon design bisogna scollegare le forme, sedersi sul divano con una gamba su un bracciolo e aspettare un’immagine da ricomporre.

In quanto designer, avendo ucciso il senso materno dell'arte, non allatto più. Bisogna approfittare di ogni momento buono per raccogliere dai secchioni della spazzatura tutto ciò che è disponibile.
Solo così una scatola di ottone con su scritto toilettes potrà trasformarsi in una lampada con luce rossa e una vecchia scala di legno in una libreria, intrecciando tra i pioli il filo delle sedie da bar.
Bisogna recuperare i materiali tradizionali e, pessime madri, capovolgerne il senso. Bisogna applicare l’estetica del rifiuto. Partire dall'orrido per creare bellezza e penso alla Spoon chair di Leo Capote che è riuscito a costruire una sedia utilizzando cucchiaini di acciaio. Bisogna andarseli a cercare i materiali, non puoi pretendere di andare nel grande magazzino ed essere orgoglioso di aver speso cento euro per la fotocopia di una libreria che possiedono altre nove condomini nel tuo palazzo.
Bisogna fare come le gattare che fanno Miciu, miciu, strofinandosi il pollice con l'indice. Bisogna andare a scovare i rimasugli e riempirsi casa di spartiti per organo e di strati di plastica colorata. Bisogna tenerseli davanti pensando, per diciannove settimane, COSA diavolo potrei farne di quel pezzo di plastica colorata finché una mattina ti svegli e ti accorgi che hai davanti una cassetta di INsicurezza in plastica rosa.

È così, Sandro non puoi farci niente. Sarai fiero, sempre, della tua creazione insicura e inutile, originale, triste e solitaria.

E ora un consiglio. Come ti dicevo non ha più senso scrivere: è una cosa superata. Credo fermamente che ogni sfera dell’arte abbia un’età. Vedo l’arte come una persona che nasce, si sviluppa, sperimenta, si assesta, trova un equilibrio, rinuncia all'equilibrio, matura, invecchia e infine muore.
Se ci pensi la poesia è la nascita. Il novanta per cento degli scrittori  nasce con la poesia.
Succede che un giorno smetti di scrivere sui muri le frasi della tua canzone preferita e cominci con le tue. Vedi le scritte nei cessi delle superiori “this is the end my only friend” e sorridi, ti senti superiore. Vai a casa e scrivi una cosa molto brutta che però a te pare molto bella e ne vai fiero. Sei diventato, inaspettatamente, un poeta.

La fase della poesia dura fortunatamente solo una decina di anni. Poi scopri la prosa, quanto sia più completa, una forma che ti permette di continuare a delinquere le tue lacune da scuola professionale su più pagine. E fai anche cose belle, per carità. Sperimenti. Vai in libreria e ti accorgi che il settanta per cento dei libri fanno schifo, che tu avresti solo bisogno di un’occasione che non ti danno.

Immediatamente dopo viene la fase in cui ti accorgi che eri tu che non sapevi scegliere i libri in libreria e che invece esistono Nabokov, Hubert Selby jr e quindi ti deprimi. Smetti per un po’. Ti documenti. Poi li copi. E nei successivi cinque anni trovi una tua quadratura e scrivi cose belle ma poco originali. Tranquillo. Non essendo farina del tuo sacco esaurisci presto i concetti.

Poi, grazie al vino e alle droghe, ti sentirai di nuovo dio ed entrerai nella terza fase, quella in cui non hai più bisogno di scrivere (ah dimenticavo: nella fase precedente fondi anche un gruppo culturale di nome Karpos e alcune case editrici clandestine al solo scopo di pubblicarti da solo visto che nessuno ti si incula) ma vuoi fotografare (altra differenza: fino a ora DOVEVI scrivere, ora VUOI fotografare). Sei meno stressato, ti colpiscono altre cose, riesci a stare davanti al pc senza mangiarti le unghie; ti diverti, pensa te.

Terminata questa fase, passi finalmente al design e inventi cose completamente inutili, colorate in modo eccessivo, sulle quali riporre i libri che hai scritto nella fase 2.
Hai superato gli anni di cristo e se fossi un giocatore di calcio saresti vicino alla partita d’addio e deve essere per questo motivo che ti senti molto più precario rispetto a quando avevi quattordici anni.

La fase quattro prevede la rinuncia, per un periodo indefinito, a tutte le forme di arte.

Nella quinta fase ti metterai con un'ucraina di trentanni più giovane di te e ci farai un figlio, Loris, accettabile compromesso con Lorenzo, nome nobile che a te piace tanto perché nel frattempo hai iniziato a occuparti di scultura e ti attrae la vivacità culturale della Toscana e la sua storia.

Nella sesta fase di Loris e dell’ucraina non hai più notizie, non hai idea di dove mandare l’assegno di mantenimento e la cosa, invece di rallegrarti, ti fa disperare perché hai bisogno di un trapianto di midollo osseo e Loris è, o dovrebbe, essere tuo figlio.

Nella settima fase muori. Credo.

Ma forse sono andato un po’ troppo fuori tema.
Vedi Sandro, in fondo è un po’ così, si riempiono pagine di lettere e muri di oggetti perché tutto sommato abbiamo sempre qualcosa da dire. Non si sa bene a chi ed è questo il guaio.

Ma credo che tutto ciò abbia a che fare, terribilmente, con la noia.

Stammi bene.



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