Oi Sandro,
ho
la sensazione di essere arrivato a un punto morto e non parlo solo della
scrittura; non ho più voglia, più la spinta, più la necessità di scrivere ma questa
cosa qui la vivo, finalmente, come una liberazione.
Come
ben dici o come forse invento ma tanto so che potenzialmente lo potresti
pensare, la scrittura è stata per me, per tutti questi anni, una trappola che oggi
finalmente posso abbandonare senza rimpianti. La scrittura è stata l’unica forma di
amore di cui sono stato capace e dunque, citando Pazienza, se “amore è tutto
ciò che possiamo ancora tradire”, posso infine allontanarmene senza grandi
sensi di colpa.
Come
noterai scrivo queste righe con distacco, senza coinvolgimento, grazie
alla mia esemplare elaborazione dell’abbandono.
O
forse perché, devo ammetterlo, ho già canalizzato le mie energie in un settore
molto più creativo e soddisfacente: il design.
“Dentro casa. Fuori dagli schemi”, dice uno slogan pubblicitario e da qui riparto per dirti del concetto di architettura e di casa. Perché Sandro, la casa è
per sua natura schema, organizzazione geometrica di spazi e, quella sveglia che
suona alla mattina, è solamente il preludio alla matematica di una giornata scandita da ruoli e tempi.
Per parlare di architettura
e design dobbiamo necessariamente immaginare case vuote e, almeno in partenza,
possibilmente bianche. Ma per averle tali bisognerebbe sterminare le famiglie,
negazione di ritmi e di silenzi, occupatrici di altrimenti calme piatte. Quelle
famiglie unite nello sporcare muri, schizzatrici di sugo sulle
mattonelle.
Vedi Sa’, per fare del buon design bisogna scollegare le forme, sedersi sul divano con una gamba su un bracciolo e aspettare
un’immagine da ricomporre.
In quanto designer, avendo ucciso il senso materno dell'arte, non allatto più. Bisogna approfittare di
ogni momento buono per raccogliere dai secchioni della spazzatura tutto ciò che
è disponibile.
Solo così una scatola di
ottone con su scritto toilettes potrà trasformarsi in una lampada con luce
rossa e una vecchia scala di legno in una libreria, intrecciando tra i pioli il
filo delle sedie da bar.
Bisogna recuperare i materiali
tradizionali e, pessime madri, capovolgerne il senso. Bisogna applicare
l’estetica del rifiuto. Partire dall'orrido per creare bellezza e penso alla
Spoon chair di Leo Capote che è riuscito a costruire una sedia utilizzando cucchiaini
di acciaio. Bisogna andarseli a cercare i materiali, non puoi pretendere di
andare nel grande magazzino ed essere orgoglioso di aver speso cento euro per
la fotocopia di una libreria che possiedono altre nove condomini nel tuo
palazzo.
Bisogna fare come le
gattare che fanno Miciu, miciu, strofinandosi il pollice con l'indice. Bisogna
andare a scovare i rimasugli e riempirsi casa di spartiti per
organo e di strati di plastica colorata. Bisogna tenerseli davanti pensando, per diciannove settimane, COSA diavolo potrei farne di quel
pezzo di plastica colorata finché una mattina ti svegli e ti accorgi che hai
davanti una cassetta di INsicurezza in plastica rosa.
È così, Sandro non puoi
farci niente. Sarai fiero, sempre, della tua creazione insicura e inutile,
originale, triste e solitaria.
E ora un consiglio. Come ti
dicevo non ha più senso scrivere: è una cosa
superata. Credo fermamente che ogni sfera dell’arte abbia un’età. Vedo l’arte
come una persona che nasce, si sviluppa, sperimenta, si assesta, trova un
equilibrio, rinuncia all'equilibrio, matura, invecchia e infine muore.
Se ci pensi la poesia è la
nascita. Il novanta per cento degli scrittori
nasce con la poesia.
Succede che un giorno smetti
di scrivere sui muri le frasi della tua canzone preferita e cominci con le tue.
Vedi le scritte nei cessi delle superiori “this is the end my only friend” e
sorridi, ti senti superiore. Vai a casa e scrivi una cosa molto
brutta che però a te pare molto bella e ne vai fiero. Sei diventato, inaspettatamente, un poeta.
La fase della poesia dura
fortunatamente solo una decina di anni. Poi scopri la prosa, quanto
sia più completa, una forma che ti permette di continuare a delinquere le tue lacune da scuola
professionale su più pagine. E fai anche cose belle, per carità. Sperimenti.
Vai in libreria e ti accorgi che il settanta per cento dei libri fanno schifo,
che tu avresti solo bisogno di un’occasione che non ti danno.
Immediatamente dopo viene
la fase in cui ti accorgi che eri tu che non sapevi scegliere i libri in
libreria e che invece esistono Nabokov, Hubert Selby jr e quindi ti deprimi.
Smetti per un po’. Ti documenti. Poi li copi. E nei successivi cinque anni
trovi una tua quadratura e scrivi cose belle ma poco originali. Tranquillo. Non essendo farina del tuo sacco esaurisci presto i concetti.
Poi, grazie al vino e alle
droghe, ti sentirai di nuovo dio ed entrerai nella terza fase, quella in cui
non hai più bisogno di scrivere (ah dimenticavo: nella fase precedente fondi
anche un gruppo culturale di nome Karpos e alcune case editrici clandestine al solo scopo di pubblicarti da solo visto che nessuno ti si incula) ma vuoi fotografare (altra differenza: fino a ora DOVEVI scrivere, ora
VUOI fotografare). Sei meno stressato, ti colpiscono altre cose, riesci a stare
davanti al pc senza mangiarti le unghie; ti diverti, pensa te.
Terminata questa fase,
passi finalmente al design e inventi cose completamente inutili, colorate in
modo eccessivo, sulle quali riporre i libri che hai scritto nella fase 2.
Hai superato gli anni di
cristo e se fossi un giocatore di calcio saresti vicino alla partita d’addio e
deve essere per questo motivo che ti senti molto più precario rispetto a quando
avevi quattordici anni.
La fase quattro prevede la
rinuncia, per un periodo indefinito, a tutte le forme di arte.
Nella quinta fase ti metterai
con un'ucraina di trentanni più giovane di te e ci farai un figlio, Loris,
accettabile compromesso con Lorenzo, nome nobile che a te piace tanto perché nel frattempo hai iniziato a occuparti di scultura e ti attrae la vivacità culturale della
Toscana e la sua storia.
Nella sesta fase di Loris e dell’ucraina non hai più notizie,
non hai idea di dove mandare l’assegno di mantenimento e la cosa, invece di
rallegrarti, ti fa disperare perché hai bisogno di un trapianto di midollo osseo
e Loris è, o dovrebbe, essere tuo figlio.
Nella settima fase muori.
Credo.
Ma forse sono andato un po’
troppo fuori tema.
Vedi Sandro, in fondo è un
po’ così, si riempiono pagine di lettere e muri di oggetti perché tutto sommato
abbiamo sempre qualcosa da dire. Non si sa bene a chi ed è questo il guaio.
Ma credo che tutto ciò abbia a che fare, terribilmente, con la noia.
Stammi bene.